Il sabato di Musicultura è rock e  tradizione 
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             MACERATA – Alla luce di oggi, la serata di sabato  scorso di Musicultura è stata sicuramente la più ricca di qualità. Sei le  proposte ad avvicendarsi sul palcoscenico del Teatro della Filarmonica e il  compito della giuria è stato forse più arduo rispetto a tutte le altre sere. 
                  La Sicilia si è affacciata nella  cornice maceratese con i Malanova, splendido dipinto di una terra  contaminata dalle influenze arabe e da una storia ricca di preziosità. Violino,  chitarra classica, basso, fisarmonica, percussioni, bastone della pioggia e  strumenti tradizionali, fiati e voce per una musica popolare fortemente ritmata  e coinvolgente. Il dialetto non è un richiamo folkloristico bensì una esigenza  strutturale. Le ballate di una terra antica che divengono eredità da  trasmettere così come fa un cantastorie necessitano di una lingua propria che parli  ai figli di domani. Una immersione di lungo respiro nella tradizione guidata  sapientemente dalla voce limpida della cantante e da una orchestrazione dei  pezzi davvero degna di nota.  
                Dopo i Malanova è la volta di Paola di Capua che con la più nota Turci non ha in comune solo il nome. Chitarra acustica e  voce, apre le porte della propria stanza interiore per esplorare attraverso la  chiave intimista il tema d’amore. Sicuramente c’è da riconoscerle una buona  musicalità ed espressività vocale. L’orecchiabilità contribuisce a una buona  piacevolezza sonora. Tuttavia il rimando alla cantautrice romana è troppo  immediato anche ad un primo ascolto superficiale. 
                Le sonorità cantautorali lasciano il posto alle  atmosfere più cupe sebbene ariose di Andrea Cola che costruisce un suono  pieno e potente con due chitarre elettriche e affidando la base ritmica  esclusivamente alla batteria, facendo a meno del basso. Le influenze sono  quelle provenienti dal mondo variegato del rock alternativo e non è un caso che  a tratti venga in mente Manuel Agnelli e che in qualche traccia ci sia la  memoria di Giovanni Lindo Ferretti. La voce compie saliscendi tonali che a  volte toccano punte disarmoniche. Il sound procede per tensione, una continua  escalation che, dove non ammette crescita tensiva, mantiene una forza costante,  ipnotica fino a sfociare in punte noise. Ottima la tenuta di palco e la  risposta del pubblico in sala. 
La cupezza si dissolve quando sul palco sale Airìn, che spinge via nuvole, tensione ed energia detonante arrangiando i suoi  pezzi con voce, piano e clarinetto. Si, anche la voce può essere considerata un  vero e proprio strumento musicale; limpida, fiabesca e potente nel toccare le  note più alte e percorrere tutta la scala come se toccasse i tasti di un  pianoforte. Del jazz studiato trattiene il fraseggio sebbene le atmosfere  suggerite non hanno fumosità jazz ma luoghi incantati dove i giochi di parole  aprono porte magiche. 
Ritorna l’energia a scuotere il pubblico quando il  microfono passa a Patrizio Maria. La sua chitarra acustica ricorda un  po’ quella di Ivan Graziani e non è un caso. Contaminato dal clima underground  londinese, dai vecchi Beatles e dai cantautori della scena italiana, Patrizio  Maria assorbe e rimpasta  il tutto. Synth, chitarra acustica, basso,  batteria, voce; un brit-rock con ottima struttura musicale, e  buona  capacità di tenere la scena e coinvolgere il pubblico. 
La tensione sonora diventa forte coinvolgimento  emotivo ed eleganza stilistica nel sound della Piccola Bottega Baltazar formazione veneta composta da chitarra e voce, contrabbasso, fisarmonica,  batteria, pianoforte. La voce calda e avvolgente che assume dei toni ruvidi  nelle note alte, si avvale di una buona base ritmica. La musica ha un che di  maschile e sensuale, il suono è pieno e la performance riscuote un ottimo  successo tanto da fargli meritare il Premio Sisme. 
di  Emanuela Sabbatini              |